Trent’anni fa, in Corea del Nord
A trent’anni dalla visita dei Veri Genitori, il Rev. e la Sig.ra Moon, in Corea del Nord, riproponiamo alcuni passaggi tratti dall’autobiografia del Rev. Moon relativi a quella speciale visita e all’incredibile incontro con il Pres. Kim Il Sung.
Alla fine, il presidente Kim Il Sung invitò mia moglie e me il 30 novembre 1991. A quel tempo ci trovavamo nelle Hawaii, così potemmo arrivare velocemente a Pechino. Mentre aspettavamo nella sala delle personalità dell’aeroporto internazionale Capital di Pechino, che il governo cinese aveva preparato per noi, venne a trovarci un rappresentante del governo nordcoreano che ci consegnò gli inviti ufficiali. Sui documenti era chiaramente visibile il sigillo ufficiale del governo di Pyongyang.
«La Repubblica Democratica Popolare di Corea ha il piacere d’invitare il presidente Moon Sun Myung della Federation for World Peace, la sua signora e il suo seguito, a visitare la repubblica. La loro sicurezza è garantita durante il loro periodo di permanenza nel Nord». Era firmato: «Kim Dal Hyun, vice primo ministro, Consiglio dei Ministri della Repubblica Democratica Popolare di Corea, 30 novembre 1991».
Il nostro gruppo s’imbarcò su un volo speciale, identificato come Air Koryo 215, preparato per noi dal presidente Kim. Nessun capo di stato estero era mai salito su un volo speciale offerto dal presidente Kim, perciò quel trattamento risultò davvero eccezionale.
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Non ero andato in Corea del Nord perché volessi vedere i miei luoghi natii, né perché volessi visitare il monte Kumgang. Volevo incontrare il presidente Kim Il Sung e discutere seriamente del futuro della nostra terra. Ciononostante, sei giorni dopo l’inizio del viaggio, non si era ancora parlato della possibilità di organizzare un incontro con il presidente Kim. Però, quando tornammo in elicottero all’aeroporto Sunan di Pyongyang, dopo aver visitato il mio villaggio natale, trovai che il vice primo ministro Kim Dal Hyun era inaspettatamente lì per incontrarmi. «Il Grande Leader Kim Il Sung la riceverà domani» mi disse.
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Passai la notte in un albergo e il giorno seguente andai a trovare il presidente. Mentre mi dirigevo verso la residenza ufficiale, scoprii che il presidente Kim era sulla soglia, in attesa di salutarmi. Entrambi ci abbracciammo simultaneamente. Io ero un anticomunista e lui il capo di un partito comunista, ma le ideologie e le filosofie non avevano importanza nel contesto del nostro incontro. Eravamo come fratelli che s’incontravano per la prima volta dopo una lunga separazione.
Questo è ciò che può l’appartenenza allo stesso popolo e la condivisione dello stesso sangue. Per prima cosa, gli dissi: «Signor presidente, grazie alla cordiale considerazione riservatami, ho potuto incontrare la mia famiglia. Ci sono, però, dieci milioni di Coreani che appartengono a famiglie separate tra Nord e Sud, e non sanno neppure se i loro parenti dall’altra parte sono vivi o morti. Vorrei chiederle di concedere loro la possibilità d’incontrarsi».
Passai ancora un po’ di tempo a raccontargli della visita al mio paese natale e feci appello al suo amore per il popolo coreano. Lui e io parlavamo lo stesso dialetto, per cui eravamo a nostro agio uno con l’altro. Il presidente Kim rispose: «La penso anch’io così. A partire dall’anno prossimo, daremo vita un’organizzazione che permetterà ai compatrioti del Nord e del Sud d’incontrarsi». Il suo consenso alla mia proposta parve naturale come la neve che si scioglie in primavera.
Dopo aver parlato della mia visita a Jeongju, cominciai ad esporre le mie opinioni sugli armamenti nucleari. Rispettosamente consigliai che la Corea del Nord aderisse a un protocollo sulla denuclearizzazione della penisola coreana e firmasse un accordo di salvaguardia con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica.
Egli rispose candidamente: «Ci pensi un attimo. Chi è che dovrei sterminare producendo delle armi atomiche? Il mio stesso popolo? Sembro quel tipo di persona? Io ritengo che l’energia nucleare debba essere usata soltanto per scopi pacifici. Ho prestato grande attenzione a quello che lei ha voluto dirmi e prevedo che andrà tutto bene».
In quell’epoca, le relazioni tra Nord e Sud si trovavano in una fase critica, a causa delle polemiche sulle ispezioni nucleari in Corea del Nord, così avevo formulato la mia proposta con una certa riluttanza. Tutti i presenti furono sorpresi dalla risposta cortese del presidente Kim. A quel punto, ci spostammo in sala da pranzo, dove iniziammo a mangiare in anticipo rispetto all’ora usuale.
«Le piacciono gli spaghetti di patate gelate?» mi chiese. «È un piatto che mangiavo spesso, quando ero partigiano sul monte Baekdu. Ne assaggi un po’, la prego». «Beh, naturalmente li conosco» risposi con entusiasmo. «Gustavamo spesso questo piatto nel mio villaggio».
«Sono sicuro che nel suo villaggio lo apprezzavate come una specialità» continuò. «Noi invece lo mangiavamo per sopravvivere. La polizia giapponese setacciava il monte Baekdu fino alla cima dandoci la caccia. Non avevamo la possibilità di sederci e consumare un pasto decoroso. Cos’altro si può mangiare in cima al monte Baekdu se non delle patate? Cominciavamo a bollire qualche patata, e se la polizia giapponese si avvicinava, seppellivamo le patate sotto terra e scappavamo via. Faceva tanto freddo che, prima che potessimo tornare, le patate si erano ghiacciate nel terreno. Non potevamo fare altro che scavare, estrarre le patate, scongelarle e ridurle in farina, in modo da farne degli spaghetti».
«Signor presidente» osservai, «lei dev’essere un esperto di spaghetti di patate gelate».
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«Ci sono tante prelibatezze nel mondo – disse il presidente Kim – ma a me non interessano. Non c’è niente di meglio della torta di patate, del granturco e delle patate dolci che mangiavo al mio villaggio». «Lei e io abbiamo gusti simili» risposi. «È un piacere incontrarsi tra persone che condividono la stessa terra d’origine».
«Com’è andata la visita al suo paese?» mi chiese. «Ho provato tante emozioni. La casa dove ho vissuto era ancora lì, e mi sono messo a sedere nella sala grande, pensando al passato. Mi aspettavo di sentire da un momento all’altro la voce della mia mamma, che non c’è più, che mi chiamava. È stato molto emozionante».
«Capisco» osservò. «Questo dimostra che il nostro paese dev’essere unificato immediatamente. Ho sentito dire che lei è stato un bambino piuttosto birichino. Ha potuto correre in giro, quando è stato lì questa volta?». Tutti i commensali risero alla battuta del presidente.
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«Signor presidente» gli dissi, «lei è più anziano di me, così lei è come mio fratello maggiore». Mi rispose: «Presidente Moon, da ora in avanti consideriamoci come fratello maggiore e fratello minore» e mi prese saldamente la mano. Ci tenemmo per mano, ci avviammo lungo il corridoio e posammo per qualche fotografia ricordo. Poi lasciai la residenza.
Mi hanno raccontato che, dopo ch’ero andato via, il presidente Kim avrebbe detto a suo figlio Kim Jong Il: «Il presidente Moon è un grand’uomo. Ho incontrato tante persone nella mia vita, ma nessuno come lui. Pensa in grande ed ha un grande cuore. Mi sento vicino a lui. Mi sono sentito bene con lui e avrei voluto che rimanesse più a lungo. Voglio incontrarlo ancora. Dopo che sarò morto, se ci saranno questioni da discutere, per quanto riguarda le relazioni Nord-Sud, dovrai sempre chiedere consiglio al presidente Moon».
Così, sembra che il nostro scambio d’idee sia andato molto bene. Poco dopo la fine della mia settimana di soggiorno e la mia partenza da Pyongyang, il primo ministro Hyung Muk Yeon guidò una delegazione nordcoreana a Seul. Il primo ministro Yeon firmò un’intesa per la denuclearizzazione della penisola coreana. Il 30 gennaio dell’anno seguente, la Corea del Nord sottoscrisse un accordo di salvaguardia nucleare con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, mantenendo così le promesse che il presidente Kim mi aveva fatto. C’è ancora tanto lavoro da fare, ma questi furono i risultati che ottenni, andando a Pyongyang a rischio della mia vita.