Il linguaggio universale dello sport – UPF Monza
Oggi, domenica 26 giugno, si conclude l’XI edizione del Trofeo della Pace. Un raduno di tanti giovani del nostro territorio con l’unico scopo di vivere lo sport come un’occasione di incontro e sana competizione.
Cinque squadre, una cinquantina di ragazzi, e soprattutto tanti colori e nazionalità in campo sono stati gli ingredienti; il risultato, giornate di calcio e agonismo, con tutti i giocatori che si sono dati sì battaglia, ma in modo comunque sempre molto corretto. Il che non è certo una banalità (anche se tutti vorremmo che fosse la normalità). La rivalità sportiva e la distanza tra i vari popoli sono ancora prese a pretesto per creare conflitto, e gli scontri tra tifosi durante questi giorni di Europeo ne sono, purtroppo, un esempio molto recente. Il Trofeo della Pace si propone di essere un esempio di calcio vissuto con lo spirito giusto, come mezzo di incontro positivo di giovani. Non a caso la maggior parte dei giocatori del torneo sono stranieri o di origine non italiana (alcuni di loro sono rifugiati o richiedenti asilo), e anche un semplice torneo di calcio può diventare un’occasione per interagire e confrontarsi con il nostro Paese, che li accoglie. E così è stato.
Sarebbe forse anche il caso di raccontare almeno alcune delle storie personali di questi ragazzi, molti profughi e richiedenti asilo, come ad es. quella di Amodou, arrivato a Lampedusa oltre un anno fa’, insieme ad 85 compagni con un gommone partito dalla Libia. Amadou era scappato dal suo villaggio nel nord del Senegal perché in quella zona del Paese africano sono in azione guerriglieri che non si fanno scrupoli ad uccidere, ed allora chi siamo noi per poter giudicare, che merito abbiamo per essere nati in un Paese dell’Europa occidentale? Certo non vorrei cadere nella retorica, troveremo modo di approfondire in altre occasioni.
Intanto per chi è dello staff è sempre un’emozione forte quando, oltre ad offrire la possibilità di praticare lo sport preferito, si riesce ad intravedere qualcosa di più, qualcosa che va proprio in direzione delle motivazioni che hanno spinto un piccolo gruppo di amici a dar vita – tanti anni fa – a questo torneo interetnico di calcio. Così ci si riconosce nelle parole, mai citate abbastanza, di Nelson Mandela in occasione dei mondiali di rugby in Sudafrica: “ lo sport ha il potere di cambiare il mondo, di unire la gente. Parla una lingua che tutti capiscono. Lo sport può portare la speranza laddove prima c’era solo disperazione”.